LA QUESTIONE FEMMINILE IN GERMANIA

LA “QUESTIONE FEMMINILE” NELLA GERMANIA NAZISTA

Joseph Goebbels - destinato a divenire il ministro della propaganda del Reich hitleriano - in un suo racconto giovanile, negli anni Trenta, intitolato "Michael" esprime in modo quasi perfetto la divisione dei sessi ideale nei principi nazisti: "La donna ha il compito di essere gradevole e di mettere al mondo figli. Questa non è una idea così retriva e crudele come si può pensare in un primo momento. Le femmine degli uccelli si puliscono per il proprio compagno e si prendono cura delle uova. In cambio il maschio si incarica di portare il cibo al nido, rimane vigile e combatte contro tutti i nemici".

Fotografia di Joseph Goebbels con la sua famiglia

LA REPUBBLICA DI WEIMAR: UN NUOVO RUOLO FEMMINILE

Intorno all'ancora minuscolo Partito Nazionalsocialista, al principio degli anni Venti, ruotava una società profondamente differente da quella vagheggiata da Goebbels. La Repubblica di Weimar, che aveva sostituito la monarchia prussiana dopo la sconfitta del 1918, aveva dato alla donna tedesca un nuovo ruolo nella società. La repubblica aveva concesso il diritto di voto alle donne e contemporaneamente si era verificata una rivoluzione sociale di ampia portata. Durante la Prima Guerra Mondiale le donne, per le necessità belliche, erano entrate a pieno titolo nel mondo del lavoro e, alla fine del conflitto, erano circa 11 milioni le donne con un impiego a tempo indeterminato. Vi era certamente molta strada da percorrere nel cammino verso una reale parità tra i sessi: ancora a parità di funzioni le donne percepivano salari più bassi; nella professione medica e giuridica esistevano forti opposizioni al pieno impiego femminile.  

Nonostante ciò si era rotto quell'equilibrio che nella società tedesca destinava la donna esclusivamente ad un ruolo di moglie e di madre. 
I costumi sessuali tradizionali, almeno nelle grandi città come Berlino, entravano in crisi e i classici ruoli si infrangevano in un'atmosfera di sperimentalismo e di modernizzazione. 

In letteratura si parlava molto di "matrimonio di prova", di problemi di menage à trois e non sembrava più esserci un argomento realmente tabù. In altri termini la Germania di Weimar, dopo secoli di distacco stava riprendendo contatto con le correnti culturali europee. 
La reazione delle chiese e dei partiti di destra che gridavano alla corruzione della società non ebbe grande peso: al di là di rari atteggiamenti provocatori o trasgressivi, il movimento femminile nella Germania di Weimar andava acquistando una sempre maggiore autocoscienza e consapevolezza.

LA DONNA NAZISTA COME PROCREATRICE

I pratici militanti del neonato partito nazista avevano idee chiare  sul ruolo della donna nella società. 
Sin dal 1921 il Partito Nazionalsocialista, pur ammettendo le donne precludeva loro di accedere ai ruoli dirigenti dell'organizzazione. La visione nazista escludeva in partenza le donne dalla politica. Negli anni Trenta un gerarca nazista scriveva: "Noi Nazionalsocialisti abbiamo la ferrea convinzione che la politica sia un affare per uomini. La donna tedesca è per noi troppo sacra per contaminarsi con le sporche questioni della politica parlamentare". 

L'obiettivo dell'ideologia nazista non è in prima battuta definire la donna nordica ma darle un ruolo all'interno della società, questo ruolo consisteva in termini pratici nel "rimettere la donna al proprio posto" allontanandola dal mondo del lavoro e riconducendola all'interno della casa per ottemperare al proprio compito naturale: generare più figli possibile. 
Giunto al potere il nazismo varò una serie di leggi che favorissero la "naturale tendenza alla maternità delle donne". 

Gli uomini sposati le cui mogli accettavano di uscire dal circuito del mondo del lavoro ricevevano prestiti che raggiungevano il valore di un intero anno di salario medio (dai 500 ai 1.000 Reichmarks). Per ogni figlio nato dopo la concessione del prestito gli interessi venivano ridotti del 20%, al quarto figlio gli interessi sul debito venivano azzerati. Alla fine del 1940 erano stati erogati 1.700.000 prestiti di questo genere con il risultato pratico di aver ricondotto a casa quasi due milioni di donne che avevano rinunciato al lavoro. 
Uno dei più acclamati scienziati razziali nel 1935 scriveva che la "migliore politica contro la disoccupazione consisteva nel favorire il ritorno a casa delle donne". 
Secondo l'ideologia nazista non ci si poteva però accontentare di eliminare la donna dalla politica e dal lavoro, come disse Hitler nel 1939, "il campo di battaglia della donna era la casa", ma occorreva che la donna nordica desse il suo contributo per creare la "famiglia ideale tedesca", su questa famiglia ideale i nazisti, ancora una volta, avevano le idee ben chiare. 

Il 16 dicembre 1938 venne creata la Croce d'Onore della Madre Tedesca. Si trattava di una medaglia che copiava esattamente nella sua forma la Croce di Ferro che veniva elargita ai combattenti particolarmente valorosi. La Croce d'Onore veniva consegnata in bronzo alle madri di quattro figli, in argento al raggiungimento dei sei figli e in oro alla nascita dell'ottavo figlio. Contemporaneamente a tutti gli impiegati pubblici tedeschi venne imposto di sposarsi o di dimettersi. Con una legge si impose una tassa aggiuntiva alle coppie prive di figli dopo cinque anni di matrimonio. Parallelamente venne modificata la legge sul divorzio: l'incapacità della donna a procreare diveniva una ragione lecita per lo scioglimento del matrimonio.

IL NAZISMO E IL PROBLEMA DELL'ABORTO

Nella Germania pre-nazista l'aborto era regolato dall'articolo 218 del Codice introdotto dalla Repubblica di Weimar. 
In esso si prevedeva la liceità dell'aborto nel caso in cui il parto avesse messo in pericolo la vita della madre.
I nazisti non modificarono la legge se non consentendo l'aborto nel caso in cui la nascita del bambino fosse un pericolo per l'igiene razziale tedesca. In altri termini, l'aborto veniva consentito per sopprimere incroci razziali non desiderati. Per il resto era strettamente vietato. 

Nel 1937 i medici che praticavano aborti venivano puniti con 10 anni di prigione e, nel 1939, l'aborto non autorizzato venne considerato tradimento contro il popolo tedesco punibile con la pena di morte. Parallelamente non era consentita alla donna alcuna pianificazione familiare scientifica essendo fuori legge tutti gli strumenti anticoncezionali. 
L'aborto per i nazisti era legato non tanto alla donna in quanto tale, ma all'appartenenza razziale della donna. Infatti, mentre si vietava alle donne ariane tedesche ogni possibilità di decidere sulla propria maternità, si autorizzavano per legge le donne ebree ad abortire senza dover richiedere autorizzazioni ai tribunali tedeschi e nel 1943 veniva concesso e incoraggiato l'aborto alle lavoratrici straniere coatte impiegate nelle fabbriche tedesche. Il problema dell'aborto veniva dunque legato alla "razza della donna", negato alla donna ariana tedesca tenuta a generare il più possibile, autorizzato ed incoraggiato per le donne "razzialmente inferiori". 

Le motivazioni naziste contro l'aborto non erano nè morali nè etiche, ma demografiche e razziali. La donna tedesca aveva un potere decisionale limitato sula propria maternità: i figli non erano il frutto esclusivo della maternitè, ma una "proprietà"dell'intero popolo tedesco. Non avere figli o, peggio, abortire significava privare il popolo del suo futuro. La donna che si opponeva alla propria maternità di fatto era colpevole di tradimento verso il popolo e lo Stato.

"QUESTIONE FEMMINILE" E DEMOGRAFIA

A partire dal 1936 venne proibita alle donne la professione di avvocati e di giudici e l'accesso all'Università venne drasticamente limitato fissando una quota massima del 10% sul totale degli iscritti. 
I ruoli dirigenziali in ogni professione vennero rigidamente sbarrati alle donne e contemporaneamente vennero stabiliti incentivi per le madri di figli nati da relazioni extraconiugali. 
Una martellante propaganda metteva costantemente in luce il pericolo che i popoli razzialmente inferiori mantenessero un livello di crescita costantemente più alto rispetto ai tedeschi. Si sottolineava in modo ossessivo non soltanto la "quantità" dei figli, ma soprattutto la "qualità" delle famiglie. 
Lo Stato nazista voleva spingere verso la maternità la borghesia medio-alta non solo per avere molti figli, ma per averli qualitativamente migliori. Occorreva invertire la tendenza che vedeva le classi più disagiate procreare di più rispetto alle classi più abbienti. 
Ciò che si chiedeva alla donna in termini riproduttivi sarebbe soltanto grottesco se non fosse il frutto delle menti considerate allora più lucide e credibili. 
Il 28 giugno 1933 il ministro degli Interni dichiarò che la Germania stava cadendo vittima della ideologia borghese dei due figli per coppia e questo era il primo passo verso la catastrofe demografica. 
Questi allarmi ripetuti sulla possibilità di una "scomparsa della razza tedesca" furono la base non solo per lanciare la politica di incentivi demografici, ma anche per stroncare definitivamente il movimento femminista tedesco.

LA DONNA COME PROPRIETÀ DELLO STATO

La "normalità" nel nazismo è maschile ed ariana. La donna, in quanto incapace di servire la patria con le armi, è per definizione in una posizione di inferiorità rispetto all'uomo. Una inferiorità che può essere parzialmente riscattata attraverso la procreazione. 
Tuttavia questa capacità non le viene riconosciuta come una caratteristica personale. 
Il corpo femminile non appartiene alla donna, ma allo Stato. 
Nel 1939 il professor Wagner direttore della clinica femminile di un ospedale di Berlino dichiarò che lo stock nazionale di ovaie rappresentava una ricchezza dello Stato tedesco ed invitava a tutelare per legge questa risorsa. 
Viene compiuto il passo più estremo di negazione dei diritti fondamentali: il diritto alla gestione del proprio corpo. 
La soluzione della questione femminile passava per il raggiungimento di un obiettivo chiaro ed esplicito: il raggiungimento di tre milioni di figli in più. Un risultato che venne effettivamente raggiunto. Nel 1938 nacquero 1.347.000 bambini e nel 1940 1.645.000.

LE CONTRADDIZIONI NAZISTE: LA DONNA TRA LA CASA E IL LAVORO

Nonostante la propaganda nazista sul ritorno a casa delle donne fosse martellante e l'imponente crescita delle nascite aumentasse il peso della gestione dei nuclei familiari, la percentuale delle donne occupate aumentò. 
Nel 1938 il 36% delle donne tedesche erano occupate contro il 26% della Gran Bretagna ed il 18% degli Stati Uniti. 
Al di là di qualsiasi spinta ideologica esistevano necessità pratiche: occorreva manodopera. 
Sempre più uomini venivano inquadrati nell'esercito e sottratti al mercato del lavoro e a sostituirli, senza che fosse dichiarato esplicitamente, vennero chiamate le donne. Ovviamente i posti di lavoro affidati alle donne erano a basso salario e qualsiasi competizione per accedere a professioni ben remunerate era scoraggiata.

OMOSESSUALITÀ
Memoriale agli omosessuali, sia uomini che donne, vittime del nazionalsocialismo a Colonia in Germania

L'Articolo 175  condannava l'omosessualità maschile ma non prendeva in considerazione quella femminile che non era considerata dalle autorità una minaccia o un "sabotaggio socio-sessuale" dei fondamenti del Terzo Reich, perciò, a patto che non dessero pubblico scandalo, le lesbiche non furono formalmente perseguitate. 
D'altro canto la condizione femminile nella Germania pre-nazista era tale che alle donne era vietato aderire a partiti o ad organizzazioni politiche. 
Fu per questo che, anche negli anni nei quali il movimento omosessuale ebbe maggiore forza, le lesbiche si limitarono a frequentare i locali della Berlino omosessuale senza esporsi ad un impegno politico palese. Ciononostante alcuni luoghi di ritrovo a Berlino, come il "Dorian Gray" e il "Flauto Magico", divennero luoghi nei quali l'omosessualità femminile incominciò a organizzarsi. 
Spuntarono opere letterarie che fecero un certo scalpore. 

Già nel 1928, a causa della reazione conservatrice, i luoghi di ritrovo per le lesbiche iniziarono a diminuire e con l'avvento del nazismo anche questi limitati spazi di "libertà" scomparvero. La censura si abbattè sulle pubblicazioni "immorali"; vi furono richieste in parlamento di una legge che perseguisse esplicitamente il lesbismo.

Quando nel 1933 i nazisti arrivarono al potere, proprio in virtù della loro convinzione che la donna fosse inferiore all'uomo, si disinteressarono al problema. 
Ciò non significò che essere lesbiche fosse consentito come stile di vita. All'indomani della presa del potere i nazisti chiusero tutti i locali di ritrovo e crearono un clima di costante timore incoraggiando le azioni di polizia e le denunce contro le lesbiche. Bastava la lettera anonima di un vicino di casa per ritrovare alla propria porta la Gestapo. 
Molte lesbiche cambiarono città per rompere i legami con i circoli che avevano frequentato, altre si sposarono con omosessuali maschi per ridurre la loro visibilità. 
Ciononostante i nazisti continuarono a sorvegliarle con particolare attenzione. Se anche l'omosessualità femminile non era considerata un reato esplicitamente vietato dalla legge, le lesbiche vennero ugualmente perseguitate non in quanto tali ma in quanto "asociali". Così ufficialmente non vi furono arresti per lesbismo ma per comportamenti personali contrari all'ideologia nazista.
Nei campi di concentramento le lesbiche non furono catalogate come omosessuali ma come pervertite. Questa distinzione era marcata dal fatto che per esse nei campi vi fu l'obbligo di indossare il triangolo nero, simbolo delle prostitute.
Si deve aggiungere che la politica del lavoro nazista danneggiò ulteriormente le lesbiche. Poichè il lavoro femminile era guardato con sospetto e i posti di responsabilità negati alle donne, le lesbiche si trovarono a dover combattere con drammatici problemi economici. 
La mancata persecuzione esplicita del lesbismo non toglie nulla alla repressione generalizzata che queste persone subirono ed al clima di paura nel quale vissero per tutta la durata del regime.

IL "CASO SCHERMANN"
Fotografia segnaletica di Henny Schermann

Henny Schermann era nata il 19 febbraio 1912 a Francoforte sul Meno in Germania. Di origine ebrea era la prima di tre figlie. Dopo il 1938 venne imposto alle donne ebree di far apporre sui propri documenti un secondo nome distintivo che per tutte doveva essere "Sara". 
Henny, all'epoca ventiquattrenne commessa in un negozio, non faceva mistero della propria omosessualità e mostrava un atteggiamento non conforme alla legislazione repressiva nazista. Non si adeguò all'ordine di apporre il nome "Sara" sui documenti e continuò la sua vita come sempre frequentando laddove possibile i luoghi di ritrovo illegali delle lesbiche di Francoforte. 
Nel 1940 venne arrestata e deportata al campo di concentramento femminile di Ravensbruck. 
Sul dorso della fotografia segnaletica il funzionario nazista scrisse: "Henny Sara Schermann, nata il 19 febbraio 1912 a Francoforte, non coniugata, commessa di negozio. Lesbica licenziosa frequentatrice di bar omosessuali non ha adottato il nome "Sara". Apolide ebrea".
Dopo due anni di campo di concentramento Henny morì nelle camere a gas di Berneberg nel 1942. 
Il caso di Henny Schermann mostra tutta la difficoltà nel registrare e documentare la persecuzione delle lesbiche.
Ufficialmente Henny era ebrea e questo sarebbe stato sufficiente per condannarla a morte in un campo. Tuttavia le autorità tedesche sottolineano il suo essere omosessuale come un ulteriore aggravante, segnale questo di come l'attenzione e la vigilanza sull'omosessualità femminile fosse decisa e costante.

TENTATIVI DI SELEZIONE INTELLETTUALE

Mentre il lavoro da nubile rappresentava un impegno comune a tutte le ragazze tedesche, il regime si preoccupò di avviare una selezione per soggetti speciali. 
Erano le cosiddette "ragazze particolarmente pregiate", in altri termini bambine che dimostravano attitudini di intelligenza alquanto spiccate.
Vennero creati tra il 1938 ed il 1939 "scuole speciali nazionalpolitiche" destinate a queste ragazze. 
Queste scuole speciali, denominate "NAPOLAS", erano già sorte nel 1933 per i maschi. Si trattava di luoghi nei quali si sarebbero dovute raccogliere e crescere le ragazze che mostravano "tratti razziali, intellettuali e caratteriali al di sopra della media". L'idea era di formare l'èlite femminile della nuova Germania. 
Tuttavia l'idea incontrò fortissime opposizioni all'interno dello stesso Partito: molti gerarchi guardavano con sospetto l'idea di creare delle donne intellettualmente istruite. Così, mentre le NAPOLAS per ragazzi vennero ampiamente usate dalla propaganda, quelle femminili passarono sostanzialmente sotto silenzio e ne vennero edificate soltanto due.
Il sostanziale fallimento di questa impresa testimonia ancora una volta la poca considerazione della donna.

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