La propaganda fascista
L'opposizione al fascismo
La propaganda nazista
L'opposizione nazista
L’OPPOSIZIONE AL FASCISMO

OPPOSIZIONE POLITICA

• Liberali

Non tutta la società italiana approvò e appoggiò il fascismo. Inizialmente gli antifascisti furono soprattutto intellettuali ed esponenti delle forze politiche di opposizione, e quindi di Sinistra, che Mussolini non tardò a dichiarare illegali. Molti di loro subirono il carcere o il confino: furono obbligati cioè a vivere isolati, lontani dalla loro residenza. Altri furono assassinati o dovettero abbandonare l'Italia. Le forze antifasciste però erano molto diverse fra loro e ciò rese molto difficile la loro unità, indispensabile per abbattere il regime. Furono antifascisti uomini appartenenti alla tradizione liberale come Benedetto Croce, Luigi Albertini (direttore del quotidiano "Corriere della Sera" dal 1900 al 1925), Giovanni Giolitti, Francesco Saverio Nitti. Essi in un primo momento avevano guardato con simpatia al fascismo, ma poi ne avevano condannato l'autoritarismo. Un posto di riguardo ebbe il filosofo Benedetto Croce, in qualità di autore del Manifesto Antifascista dove lui stesso afferma che se gli intellettuali, come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l'iscriversi a un partito e con il servirlo fedelmente, come cultori delle scienze e dell'arte hanno il dovere di innalzare tutti gli uomini e tutti i partiti a una più alta sfera spirituale in modo da combattere le lotte necessarie. Varcare questi limiti, contaminare politica e letteratura, politica e scienza, è un errore che quando si fa, come nel caso del Fascismo, per patrocinare violenze, prepotenze, soppressione della libertà di stampa, "non può neppure dirsi un errore generoso". Il Croce esorta quindi gli intellettuali a tenersi al di fuori o al di sopra della lotta politica, a non "contaminare" con essa la letteratura o la scienza, ignaro, sembra, del fatto che la nuova tirannide renderà la vera cultura impossibile a molti, perchè si impadronirà dei mezzi di diffusione.

• Democratici

Accanto ai liberali operavano le forze di ispirazione democratica. Essi sostenevano che solo la collaborazione tra la classe operaia e la borghesia avrebbe potuto sconfiggere il fascismo. Principali esponenti furono Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, un illustre professore universitario di storia che, pur di non giurare fedeltà al partito fascista, si dimise dall'insegnamento. In una lettera al rettore dell'università di Roma scrisse: "la dittatura fascista ha soppresso ormai completamente le condizioni di libertà necessarie per guidare l'insegnamento della Storia come io lo intendo perchè non è più uno strumento di libera educazione civile, ma si riduce a servile adulazione del partito dominante o a una pura e semplice esercitazione erudita estranea alla coscienza civile del maestro e dell'alunno. Sono costretto perciò a dividermi dai miei alunni e dai miei colleghi con dolore profondo, ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso. Ritornerò a servire il mio paese nell'insegnamento quando avremo riacquistato un governo civile". Gobetti definisce subito il fascismo "movimento plebeo e liberticida", l'antifascismo "nobiltà dello spirito", l'Italia un Paese senza un vero Risorgimento, una Riforma protestante, una Rivoluzione democratica. Estimatore di Antonio Gramsci e del giornale socialista e poi comunista Ordine Nuovo, Gobetti si avvicina al proletariato torinese, divenendo attivo antifascista. A vent'anni, il 12 febbraio del 1922, fa uscire il primo numero della rivista "La Rivoluzione Liberale" che via via diventa centro di impegno antifascista di segno liberal-democratico, Vi collaborano intellettuali di diversa estrazione, tra cui Gramsci e Sturzo. Più volte arrestato nel '23-24 dalla polizia fascista, la sua rivista è ripetutamente sequestrata. Lo stesso Mussolini si interessa di lui e telegrafa al prefetto di Torino: "Prego informarsi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore".
Il 5 settembre del '24, mentre sta uscendo di casa, è aggredito sulle scale da quattro squadristi che lo colpiscono al torace e al volto, rompendogli gli occhiali e procurandogli gravi ferite invalidanti. Fu costretto a espatriare in Francia dove, con Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Gaetano Salvemini, nel 1929 fondò a Parigi il movimento”Giustizia e libertà” che cercava di unire gli ideali democratici con quelli socialisti. Mai più riavutosi dalle ferite, muore esule a Parigi nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 1926.

• Partito Popolare

Antifascisti furono anche alcuni esponenti del disciolto Partito Popolare che Mussolini aveva dichiarato illegale come illegali erano tutti gli altri partiti, ad eccezione di quello fascista. Il fondatore, don Luigi Sturzo, e Alcide De Gasperi, un altro rappresentante del partito, furono costretti all'esilio. Proprio De Gasperi fu uno dei pochi leader popolari a non accettare accordi col regime benchè fosse stato, nel 1922, favorevole alla partecipazione dei popolari al primo gabinetto Mussolini. Dopo l’omicidio Matteotti, l’opposizione al regime e al Duce fu ferma e risoluta anche se coincise col ritiro dalla vita politica attiva a seguito dello scioglimento del Partito Popolare stesso ed al ritiro nelle biblioteche vaticane per sfuggire alle persecuzioni del fascismo. Dopo la caduta del regime e l'armistizio con gli Alleati, De Gasperi rifondò la Democrazia Cristiana clandestina, entrò nel Cln e definì il suo un "partito di centro che guarda verso sinistra".

• Partito Socialista

Un ruolo di primo piano nella lotta antifascista venne svolto, infine, da esponenti del Partito socialista come Francesco Turati e Sandro Pertini che si distinse per la sua energica opposizione al fascismo. Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini, nel 1925 fu condannato a otto mesi di carcere e quindi costretto a un periodo di esilio in Francia per evitare una seconda condanna. Continuò la sua attività antifascista anche all'estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato prima alla reclusione e successivamente al confino. Nel 1943, alla caduta del regime fascista, fu liberato e partecipò alla battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma dall'occupazione tedesca. Nello stesso anno fu catturato dalle SS e condannato a morte, ma riuscì a salvarsi grazie a un intervento dei partigiani. Divenne in seguito una delle personalità di primo piano della Resistenza italiana e fu membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale. Nell'Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di Presidente della Camera dei deputati, per essere infine eletto Presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978. Andando spesso oltre il semplice ruolo istituzionale, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere spesso ricordato come il "presidente più amato dagli italiani".

• Partito Comunista

Per il Partito comunista si distinsero Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. In particolare, Gramsci fu fatto arrestare da Mussolini nel 1926. Restò in carcere fino al 1937, l'anno della sua morte. In questi lunghi anni scrisse i "Quaderni del carcere", l'opera più importante dell'antifascismo italiano. Per capire di cosa si tratta basta leggere il seguente brano tratto da una pagina del diario di Gramsci. "Il peggiore guaio della mia vita attuale è la noia. Queste giornate sempre uguali, queste ore e questi minuti che si succedono con la monotonia di uno stillicidio hanno finito per corrodermi i nervi. Almeno i primi tre mesi dopo l'arresto furono movimentati: sballottato da un estremo all'altro della penisola, sia pure con molte sofferenze fisiche, non avevo tempo di annoiarmi. Sempre nuovi spettacoli da osservare, nuovi posti da vedere: davvero mi pareva di vivere in una novella fantastica. Ma ormai è più di un anno che sono fermo a Milano. In carcere posso leggere ma non posso studiare perchè non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, solo fogli contati per la corrispondenza, che è la mia sola distrazione. Il mio incarceramento è un episodio di lotta politica che si continuerà a combattere in Italia chissà per quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso così come durante la guerra si poteva cadere prigionieri del nemico, sapendo che questo poteva venire e che poteva avvenire anche di peggio".

IL CASO MATTEOTTI

Le elezioni del 1924 furono una tappa importante per il consolidamento del potere fascista. Una nuova legge elettorale, pressioni e corruzioni d'ogni genere davano, nell'aprile 1924, i due terzi dei seggi alla " lista nazionale " presentata dai fascisti. Il 30 maggio il deputato socialista Giacomo Matteotti ebbe il coraggio di denunciare con un grande discorso alla Camera le violenze e i brogli commessi per carpire la vittoria; pochi giorni dopo veniva trovato in aperta campagna, assassinato da sicari delle camicie nere. L'omicidio sollevò nel Paese un'ondata d’indignazione e pose in immediato pericolo il nuovo regime, che riuscì in ogni caso a salvarsi, anche per l'errore dell'opposizione che giunse alla decisione di "ritirarsi sull'Aventino ". I parlamentari delle opposizioni, ad eccezione dei comunisti, abbandonarono l'aula fin dal 14 giugno, prima ancora, cioè, che fosse ritrovato il corpo del deputato socialista, per riunirsi in un'altra sala di Montecitorio e costituirsi in unico parlamento legittimo, visto che nel parlamento ufficiale era ormai impossibile esercitare ogni funzione libera per gli eletti del popolo. In quell'occasione fu votato un ordine del giorno che diede origine alla cosiddetta "secessione dell'Aventino", in ricordo di un famoso episodio della storia dell'antica Roma, quando i rappresentanti della plebe misero in atto una clamorosa protesta riunendosi su questo colle: "I rappresentanti dei gruppi di Opposizione, riunitisi oggi a Montecitorio, si sono trovati d'accordo nel ritenere impossibile la loro partecipazione ai lavori della Camera, mentre la più grave incertezza regna ancora intorno al sinistro episodio di cui è stato vittima l'onorevole Matteotti. Pertanto i suddetti rappresentanti deliberano che i rispettivi gruppi si astengano dal partecipare ai lavori parlamentari della Camera, e si riservano di constatare quella che sarà l'azione del governo e di prendere ulteriori deliberazioni". Fu proprio la monarchia a salvare i fascisti in crisi con una condotta che appare più che difficile assolvere. A questo proposito basterà ricordare, tra i tanti, qualche episodio da cui emerge la netta complicità di Vittorio Emanuele III nel mantenimento del fascismo al potere e nei successivi sbocchi dittatoriali. Carlo Sforza, che era cugino del re, ricorda: "Quando Ivanoe Bonomi presentò al re le prove della responsabilità di Mussolini, il sovrano cominciò a sfogliare; ma appena si rese conto di quanto terribili erano le accuse, impallidì, tremò e: "Le posso chiedere un piacere?". "Dica". "Non mi faccia leggere, si riprenda questi fogli" e glieli ficcò di forza nelle mani. E Bonomi, alzandosi: "Badi, Lei si prende una grossa responsabilità". Infatti fu in quel momento preciso che Vittorio Emanuele di Savoia divenne complice". In questo stato di cose, potendo contare sull'appoggio incondizionato del re, Mussolini e il fascismo superarono la crisi e già il 5 dicembre il capo del governo replicò con tracotanza a un discorso di opposizione tenuto al Senato da Luigi Albertini, che era direttore del Corriere della Sera: "Se Sua Maestà il Re, al termine di questa seduta, mi chiamasse e mi dicesse che bisogna andarsene, mi metterei sull'attenti, farei il saluto e obbedirei. Dico se Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III di Savoia, ma quando si tratta di Sua Maestà il Corriere della Sera, allora no". I giochi erano fatti, come apparve chiaro il 3 gennaio 1925, quando, alla Camera, Mussolini potè dichiarare di assumere su di sè ogni responsabilità di tutto quello che era accaduto in Italia e dire che se il fascismo era un'associazione per delinquere, egli di quella associazione era il capo. Nel giro di un anno circa si susseguiranno le cosiddette "leggi fascistissime" cancellando ogni residuo di libertà. Come si susseguiranno le bastonature fatali a Giovanni Amendola e Piero Gobetti e a tanti altri meno noti, le condanne, il carcere, il confino. Per gli antifascisti cominciò la lunga attesa, in Italia o in esilio, con la lotta clandestina e la cospirazione. Tra il 1925 e il 1928 furono varate le leggi (cosiddette "fascistissime") che consacrarono la nuova struttura e lo strapotere dello Stato. Ogni speranza legalitaria o di ritorno alla legalità cadeva. Essa moriva con la soppressione della libertà di stampa, le persecuzioni contro gli antifascisti, col ripristino della pena di morte, l'istituzione di un tribunale speciale per reati politici, l'istituzione dell'O.V.R.A. (polizia politica segreta) e con l'attribuzione al potere esecutivo di emanare norme di legge. I normali meccanismi dello Stato di diritto e i fondamenti della libertà politica e della sovranità popolare vennero sovvertiti. A cominciare dal 1926 nelle amministrazioni comunali alla procedura elettiva del sindaco e del consiglio venne sostituita la nomina governativa del podestà e della consulta, così da sconvolgere l'intero ordinamento centrale e periferico nel processo di fascistizzazione dello Stato. Il Parlamento risultò svuotato di ogni prerogativa e le elezioni (1929) furono ridotte a semplici plebisciti di approvazione di una "lista unica" di deputati designati dal Gran Consiglio. Il capo del governo, che era contemporaneamente duce del fascismo, prese ad occupare il vertice della piramide politica che simboleggiava l'ordinamento gerarchico del regime e venne sottratto a qualunque controllo o sanzione, con l'obbligo di rispondere solo al sovrano. Con le elezioni plebiscitarie del 1929 Mussolini potè contare su una Camera tutta composta da fascisti e il carattere totalitario del fascismo finì rapidamente per coinvolgere ogni settore della vita italiana.